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Una Ricerca su noi stessi. Incontro con l’archeologa Maria Stella Busana

Una Ricerca su noi stessi. Incontro con l’archeologa Maria Stella Busana

Maria Stella Busana insegna Archeologia Romana all’Università di Padova.

Giovedì 30 novembre sarà ospite dell’ultimo appuntamento del ciclo di incontri Around EstOvest, per discutere del rapporto tra architettura e potere insieme all’architetto Italo Zanotti, alla coreografa Francesca Cola e al musicologo Marco Testa.

Abbiamo anticipato l’incontro con qualche domanda, curiosi di scoprire qualcosa di più sul suo affascinante lavoro…

Ecco l’intervista.

Buongiorno professoressa, e benvenuta. Lei è originaria della provincia di Padova, dove oggi insegna. Com’è venuta a contatto con il festival EstOvest?

Buongiorno. Ho conosciuto il festival attraverso un caro amico e grande musicista, Claudio Pasceri [Coordinatore artistico del festival EstOvest, N.d.R], che me ne ha parlato quest’estate, ad Asiago, dove da anni trascorro le vacanze e seguo il Festival musicale che qui si tiene da oltre 50 anni, nel 2017 co-diretto proprio dal maestro Pasceri. Mi ha raccontato di quest’originale iniziativa, che affronta un tema attraverso punti di vista, approcci di studio ed espressioni artistiche diverse. Mi aveva molto colpito e avevamo progettato un possibile incontro a Torino per assistere a una serata del festival EstOvest…e invece mi trovo qui come relatrice!

Lei sarà protagonista dell’incontro sul tema “Architettura e potere”. Un argomento che lei ha approfondito con studi specifici…

Si, infatti. Quando mi è stato chiesto di partecipare, alcuni mesi fa, ero impegnata a concludere uno studio avviato da alcuni anni sulle caratteristiche e sulle trasformazioni della casa nel mondo greco e romano, tra le origini della civiltà classica e la tarda antichità, ora in corso di stampa con la casa editrice Carocci di Roma. Una prospettiva geografica e cronologica molto ampia, che mi ha consentito di cogliere più profondamente la forza di alcuni modelli elaborati nel Vicino Oriente, l’osmosi culturale verificatasi tra le civiltà affacciate sul Mediterraneo, che ci hanno lasciato un’eredità ben più forte di quanto pensiamo.

Deyan Sudijc, nel suo importante studio su architettura e potere nel XX secolo, sostiene che urbanistica e architettura riflettono da vicino lo spirito e l’assetto sociale di una civiltà. È un’osservazione che vale anche per l’antica Roma?

Assolutamente si. Se confrontiamo la residenza di un principe etrusco agli inizi del VI sec. a.C. portata in luce da una missione americana negli anni ’60 del secolo scorso a Poggio Civitate di Murlo (Siena), incentrata su una grande corte colonnata ed estesa complessivamente 3600 mq, con la residenza del re a Roma, recentemente indagata alle pendici settentrionali del colle Palatino, articolata attorno a una piccola corte che non raggiunge i 600 mq, cogliamo la differenza tra l’espressione di un’architettura di potere assoluto di matrice orientale e quella, pur monumentale, di un regalità che è stata definita “costituzionale”, che condivideva il potere con un’aristocrazia rappresentativa del corpo cittadino. Ci penseranno poi gli imperatori a emulare i grandi sovrani orientali…

In questa edizione del festival EstOvest si è trattato anche dei rapporti dell’architettura con la musica. Nell’antichità classica esistevano spazi concepiti per la musica e ad essa dedicati?

Nelle città greche esistevano edifici dedicati specificamente alla recitazione poetica e alla musica, chiamati “odeion”, simili a piccoli teatri, ma coperti. Anche a Roma fu adottata questa tipologia di edificio, compreso il suo nome (“odeon”); ma grazie all’invenzione della tecnica costruttiva nota come “opus caementicium” (simile al nostro cemento) fu possibile realizzarli ovunque, anche senza appoggiare le gradinate semicircolari a un pendio naturale. L’ascolto della musica però avveniva anche in casa, durante i banchetti, sempre allietati da esibizione musicali: tramandano le fonti che imperatore Nerone era un appassionato di musica e lui stesso un musicista.

 

Parliamo un po’ di lei. L’archeologia è uno dei mestieri più affascinanti anche per tanti bambini e ragazzi. Lei ha sempre saputo che si sarebbe dedicata a questo lavoro? Nella sostanza in cosa è diverso dall’immagine un po’ stereotipata dell’archeologo trasmessa dal cinema e dalla narrativa?

Io sono sempre stata affascinata dal mondo antico, a partire dagli studi classici del liceo, sicuramente grazie a dei professori che mi hanno fatto scoprire la ricchezza e la profondità della cultura antica in tutte le sue manifestazioni (poetiche, artistiche, scientifiche)…un patrimonio dell’umanità, fondamento della civiltà occidentale, il cui valore oggi purtroppo non è adeguatamente riconosciuto e comunicato, come dimostrano i numeri degli studenti del liceo classico. All’archeologia sono invece arrivata per caso, durante gli studi di lettere antiche, dopo aver partecipato ad alcuni scavi archeologici dove ho sperimentato l’emozione della scoperta, ma anche l’entusiasmante vita “cameratesca” delle campagne di scavo. In realtà, la ricerca archeologica richiede molta pazienza, dedizione, rigore metodologico e tanto studio, ma soprattutto il desidero di conoscere la vita, i comportamenti, le realizzazioni degli uomini che sono vissuti prima di noi negli stessi luoghi dove noi oggi viviamo. Uomini dai quali, in fondo, ci divide così poco tempo: è una ricerca su noi stessi. Non a caso l’archeologia è spesso associata alla psicanalisi.

Lei è docente all’università. Come si bilanciano insegnamento, studio teorico e indagine sul campo?

Dedico molto tempo all’insegnamento dell’archeologia romana, tenendo corsi rivolti sia agli studenti della laurea triennale, di quella magistrale e della scuola di specializzazione, oltre che al dottorato. E poi lo studio e la scrittura, perché è doveroso pubblicare prima possibile i risultati delle proprie ricerche. Dopo aver scavato continuativamente dal 1984 al 2010, per un po’ di anni mi sono fermata, proprio per la necessità di studiare e pubblicare. L’anno scorso però abbiamo avuto, insieme ad alcuni colleghi dell’Università di Padova, l’occasione di scavare a Pompei: non ho resistito! Tengo a dire sottolineare che didattica e ricerca sono inscindibili: da una parte gli studenti sono coinvolti in tutte le fasi della ricerca, che sono quindi momenti di vera formazione, dall’altra la ricerca e lo studio si riversa inevitabilmente sulla didattica.

Lei è una studiosa che predilige l’approccio interdisciplinare. Come interagiscono con la sua ricerca altri campi di studio apparentemente distanti?

L’archeologia moderna è necessariamente interdisciplinare e i risultati più importanti vengono proprio dall’applicazione alla ricerca archeologica di metodi e tecnologie proprie di altre discipline. Nello stesso Dipartimento dei Beni Culturali dove lavoro, ad esempio, ci sono chimici, fisici, geologi, ingegneri, architetti, ma le collaborazioni con altri Dipartimenti sono ormai la normalità. Si tratta di un rapporto che va costruito con un paziente dialogo tra i diversi ricercatori, rispettando sempre le “regole del gioco” delle diverse discipline, senza piegare i risultati alle proprie aspettative. Nel corso delle mie ricerche sul territorio di Altino è stato fondamentale lavorare con geomorfologi e paleobotanici, per ricostruire il paesaggio antico e l’uso del suolo (agricoltura, pascoli, boschi), e con chimici del terreno, le cui analisi hanno fornito una prova scientifica dell’identificazione di un fattorie romane specializzate nell’allevamento ovino presso Altino, noto dalle fonti letterarie. Con ingegneri e informatici oggi lavoriamo moltissimo per realizzare ricostruzioni virtuali dei paesaggi o delle architetture perdute, simulazioni che sono importanti sia per la ricerca, perché costringono a porsi tante domande, sia per comunicare al vasto pubblico i risultati delle nostre ricerche.

Quindi le nuove tecnologie digitali possono anche aiutare l’archeologia a diventare più comprensibile e fruibile a un pubblico di profani?

Certamente! Ad esempio la realtà aumentata (che lascia cioè intravvedere ciò che si conserva) e la realtà virtuale (che ricostruisce tutto, sempre però basandosi sulle in formazioni e i resti conosciuti) sono strumenti fondamentali per instaurare un contatto e un dialogo con tutta la società, obiettivi che sono stati in passato troppo trascurati. Oggi siamo tutti molto sensibili al ruolo cruciale e strategico che l’Università deve assumere nella società della conoscenza, la cosiddetta “Terza Missione” che si aggiunge all’alta formazione e alla ricerca.

Approccio multidisciplinare, dialogo con la società, ricerca e divulgazione. Non a caso, tutte parole d’ordine proprie anche del festival EstOvest, che con l’incontro dedicato ad “Architettura e potere” arricchisce di ulteriori spunti il suo percorso di riflessione sulla musica in rapporto ad altri campi del sapere.

L’appuntamento con la professoressa Busana e gli altri ospiti è per Giovedì 30 novembre ore 18, alla Libreria Bistrot Bardotto di via Mazzini 23/D.

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