CCW diario di bordo – Spazio creativo: l’effetto dei luoghi sul gesto artistico
Week end: 29 e 30 ottobre 2022. Spazio creativo: l’effetto dei luoghi sul gesto artistico.
“Da qui inizia il Patrimonio Unesco”, dice Claudio Pasceri mentre attraversiamo in auto la zona del Roero. È domenica mattina, c’è il sole e il terreno cambia idea continuamente: una collina, un bosco, una rocca – ovvero un piccolo canyon tipico del luogo –, e poi un’altra collina, un borgo, una vigna e così avanti, in un panorama cangiante e verdissimo, una gioia prima. Siamo lì per raggiungere la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Guarene, nel cuneese, dove si terrà l’incontro Creatore e Interprete. Un dialogo tra la filosofa e musicologa Danielle Cohen-Levinas, il compositore e divulgatore musicale Francesco Antonioni, il direttore organizzativo di Asiagofestival Alberto Brazzale e il direttore artistico di EstOvest Festival. Con la promessa, esaudita nel pomeriggio, di farci accompagnare fino al termine del giorno dalla musica del violoncellista Francesco Dillon: il sole ancora alto sulle note di Preghiera sui fiori di Emanuele Casale; ormai dietro le colline con Rebellion di Kate Moore.
E se pensiamo alla sera che preme sui vetri di un posto magico e pieno di musica, ci vien da voltare lo sguardo indietro di una manciata di ore. Perché l’importanza del luogo si è manifestata anche sabato sera, al Museo Nazionale del Cinema di Torino, dove si è svolto Impressions, un viaggio musicale senza tempo che, dentro la pancia della Mole Antonelliana, ha riunito tutti i violoncellisti e le violoncelliste ospiti della Contemporary Cello Week. Si sono alternati l’uno dopo l’altra, fronte a un pubblico che per guardare tutti insieme i costumi, gli oggetti di scena, le locandine storiche, gli strumenti dei musicisti, i loro volti e le loro dita sulle corde, avrebbe chiesto milioni di occhi se non fosse bastato chiuderli, a un certo punto, per godersi l’abbraccio musicale che tutto comprende.
Dopo due giorni così, è impossibile non chiedersi in che modo un ambiente sia in grado di influenzare il gesto artistico, perfino l’azione creativa. Chiaramente, la parola “ambiente” è spaziosa e contiene diverse connotazioni; con un’approssimazione possiamo dividerle in quelle che appartengono all’ambiente interiore (chi siamo, cosa pensiamo, come stiamo), e quelle proprie dell’ambiente esteriore (dove siamo, con chi siamo, quando e perché). Nonostante questo, le domande sgorgano numerose: l’ambiente fisico è solo ciò che appare attraverso l’esperienza percettiva o esiste un mondo reale oggettivo, esterno alla percezione soggettiva? E se così fosse, come collaborano i due mondi? E in che misura le differenze individuali nella percezione dell’ambiente sono dovute a disposizioni biologiche o psicologiche? Da sempre, filosofia e psicologia provano a rispondere.
Nell’approccio convenzionale, come dice J. Funke in The perception of space from a psychological perspective, la percezione dello spazio avviene a due livelli, superficiale e profondo. Il primo si basa sulla fisiologia del sistema sensoriale che, analizzando i segnali di profondità visibili all’occhio umano, insieme agli odori e ai suoni, ricostruisce l’ambiente circostante nel cervello del soggetto. Il secondo, invece, riguarda gli aspetti funzionali di uno spazio e il significato che gli viene assegnato: un museo è un luogo dell’arte, un teatro è la sede di una performance, una camera da letto è uno spazio di riposo intimo e personale. Inoltre, i luoghi dialogano tra di loro, e sono definiti anche in base alle interazioni che possono avere con altri luoghi e con le persone che li frequentano.
Teniamo bene a mente il secondo livello percettivo e torniamo alla domanda inziale: in che modo un ambiente o un contesto può influenzare il gesto artistico e l’azione creativa?
A seconda della funzione e del significato che gli è assegnato, è in grado di modificarli in molti modi. Può alterare le condizioni in cui le capacità individuali vengono sviluppate e applicate, aumentare o diminuire la motivazione dell’individuo a perseguire nuove idee e correre rischi, può fornire o trattenere le risorse necessarie alla realizzazione un progetto, accrescere o ridurre la probabilità di incontrare persone stimolanti, creare solitudine o stress. Inoltre, il significato di un luogo può avere una portata simbolica, emotiva e personale che trasforma, come dice W. Hennings nel saggio On the constitution of space and the construction of places: Java’s magic axis, i luoghi in scene, stabilendo una narrativa degli spazi capace di trasmettere un’atmosfera di stupore, di fascino, di sostegno culturale e sociale, di appartenenza e identità – guardando a questo fine settimana, possiamo accorgerci dell’effetto che, di per sé, ha il territorio naturale delle colline piemontesi o uno tra musei più importanti al mondo per la ricchezza del patrimonio. Cosicché, ciò che rende attraente un luogo è il possibile, non il reale. Ciò che immaginiamo, come ci sentiamo quando siamo lì, ancora prima che tutto accada.
Detto questo, la creatività stessa è composta da momenti differenti: le fasi latenti di ispirazione, l’incubazione dell’idea e quando si configura, e poi le varie tappe di elaborazione, valutazione, esposizione, superamento dell’idea per fare spazio alla seguente. Ogni momento ha le sue necessità di ispirazione, distrazione, solitudine e raccoglimento, supporto organizzativo, pubblicità, eccetera; ed è difficile che un solo luogo riesca a soddisfarle tutte. Per questo è fondamentale spostarsi, mettendo in relazione gli spazi e i gesti: per esempio, organizzando un concerto di musica contemporanea in un museo, in un ambiente naturale, in un’università, una cittadina, un borgo, perfino una farmacia (è una storia vera, andate a sbirciare i programmi delle scorse edizioni di EstOvest Festival). Chi vuole nutrire la creatività è bene che conosca e sperimenti sempre nuovi contesti, si confronti con l’altro, lo accolga, nella sua ricchezza e in quella che, soprattutto, ci si può vicendevolmente scambiare.
– GIULIA BINANDO MELIS